Cose che avrei voluto dire

G.D. Romagnosi

I sintomi della vecchiaia possono essere di varia natura: uno di questi, per esempio, è la progressiva sfiducia che la gente che ti ascolta capisca poi bene e fino in fondo quello che avevi intenzione di dire. Questo fa sì che i vecchi ripetano le stesse cose – il più delle volte senza significative variazioni – forse sperando che il messaggio, ripetuto tante volte, diventi più chiaro.

Mercoledì scorso, per esempio, siamo stati ospiti di un’assemblea d’Istituto al Liceo Classico “G.D.Romagnosi” di Parma e i ragazzi mi chiedevano come scrivo le canzoni, perché parlo di determinati temi, cosa voleva dire questa o quella cosa… Io non so se ho risposto: cioè, so che ho parlato tanto ma il rischio è sempre un po’ quello di giocare a fare l’artista, di nascondersi dietro alle parole, di non riuscire a spiegare chiaramente cosa ci stai a fare lì. E allora – e qui subentra l’anzianità – è una settimana che rimugino sulle cose che avrei dovuto dire e che forse non ho detto bene. Approfitto di questo spazio, sperando che qualcuno di quei ragazzi magari capiti qui e dica: “ma questa cosa l’aveva già detta! probabilmente ha già i primi sintomi di Alzheimer…!”

  • Avrei voluto parlare di più dell’importanza del gruppo, del fatto che ero lì con, e grazie a, Mirco e Eugenio (e col sostegno morale di Marcello, Luca ed Emanuele), ché se non avessi persone che mi supportano, sopportano e sostengono non farei un metro. Il gruppo è il luogo in cui ci si smussa scontrandosi e si è sempre un po’ scontenti fino a che, una volta che riesci a realizzare qualcosa, ti rendi conto che quella cosa lì rappresenta davvero un po’ tutti nel modo migliore.
  • Avrei voluto parlare dell’essere “artista”, perché questa è la peggiore fregatura che ti possa capitare. Al massimo, e per noi vale assolutamente, sei un artigiano: una persona che produce un bene di consumo con particolare dedizione e amore… che se essere artista invece vuol dire essere stronzo o lunatico o irritante, non avevo certo bisogno di fare canzoni per esserlo.
  • Avrei voluto parlare, appunto, della credibilità. La credibilità – che è il vero miraggio in ogni ambito – è quella strana coerenza per cui la gente ascolta le cose che dici e capisce che sono tue nel modo più sincero possibile. Cercare la credibilità significa accettare la propria vulnerabilità o il fatto che quello che fai sarà sempre di “nicchia” o condannato a piacere a poche persone.
  • Avrei voluto parlare del “corollario del cantautore”. Non è che se la gente non ti considera, se fai musica “pesante” o pseudocolta, se, insomma, il mercato discografico non ti ha neanche in nota, allora, automaticamente, sei un Cantautore e questo mondo schifo non ti merita. Credibilità significa constatare che tu fai quello che sai fare e che, per fortuna o purtroppo, non sei Kekko dei Modà o Gigi D’Alessio o Jovanotti, che fanno quello che sanno fare e quella roba, in più, piace a milioni di persone. Non esiste una musica “buona” (e invenduta) e una musica “cattiva” (e, peggio, commerciale): esiste musica fatta bene e musica fatta male, musica credibile e musica non credibile, musica che la gente decide di ascoltare e musica che la gente decide di non ascoltare. Soprattutto, esiste la tua musica e il fatto che tu ti riconosca in quello che stai facendo.
  • Avrei voluto parlare di tristezza e delusioni in maniera migliore. Noi abbiamo scherzato sulle nostre ma, nonostante tutto, siamo ancora lì a suonare perché questo è un modo di essere vivi che ci piace molto. Piangersi addosso va bene solo se fa sorridere qualcuno ma il messaggio che volevamo passare non è certo quello di chi sostiene che “fanno successo solo i raccomandati”, “la politica è tutta corrotta”, “di mamma ce n’è una sola ma io, comunque, non mi fido”. Lavorate e cogliete le vostre occasioni, per quanto questo possa sembrarvi un ulteriore luogo comune. Il lavoro serio, la costanza, la perseveranza e la qualità vengono sempre premiate (prima o poi).
  • Avrei voluto parlare di più di poesia e musica e di come queste due cose, in fondo, bastino a se stesse. Quando ti tuffi in un lago – diceva Shelley parlando della poesia – non lo fai necessariamente per arrivare dall’altra parte ma ti godi l’acqua che hai intorno. Credo che questo valga per tutte le cose inutili e creative che occupano la nostra vita: non ho mai chiesto alla musica di portarmi da qualche parte, semmai le ho chiesto qualche volta di tenermi a galla…

Ecco… tutto qui. Solo alcune piccole sottolineature da vecchio. Forse l’ultima cosa importante era proprio far notare che posto bello può essere la scuola, un posto così pieno di vita e di curiosità e di attenzione (a volte!) che quando ricevi un applauso ti sembra più forte e sincero di tutti gli altri che hai ricevuto. Un posto, insomma, che è un po’ come il lago che si diceva sopra, dove si sguazza fra poesia, matematica, arte, filosofia, e dove, alla fine, si ragiona di tutto quello che al mondo fuori interessa poco o niente. E’ l’unico posto, credo, dove ci si può anche prendere una mattina intera per fare una cosa inutile come “parlare di musica”, operazione che – come faceva notare quel gran genio di Frank Zappa – ha lo stesso senso di “ballare d’architettura”.

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2 risposte a Cose che avrei voluto dire

  1. news4elios ha detto:

    be’ se tu sei vecchio però io no eh! 😛
    elios

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